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PLAYGROUND, TRV meets SCARFUL
Galleria d'arte Mascherino di Roma, 22 feb 29 mar 2003, a cura di Barbara Martusciello in collaborazione con Alessandro Gianvenuti.

"Joe, Nico, Pane, Stand e Scarful - Past and Present"
Intervista di Alessandro Gianvenuti

Alessandro Gianvenuti: Partiamo dall’inizio. Spesso c’è staa (e c’è) una semplicistica formula che prevede i graffiti necessariamente legati alla cultura Hip Hop, insieme alla breakdance e al rap. Questo discorso ha un riscontro maggiore laddove hanno avuto origine, in America, anche se non è stato sempre così. Ad esempio in un’intervista a Twist (Barry McGee) (1) lui stesso parla del suoi esordi (’84) all’interno della scena hardcore punk di San Francisco. Quali sono i vostri background e quando avete iniziato ad avvicinarvi ai graffiti?

Joe: Più o meno nel ‘92 con Heko (Pane), Hestro (Sugo), Aser (Nico) e Koma. Io inizialmente ero più legato ai centri sociali, al circuito alternativo, al punk. I graffiti mi piacevano perché erano un po’ delle scenografie di questi ambienti alternativi, un qualcosa in cui ti esprimi artisticamente e c’è anche la ribellione.

Pane: Nel ’92 circa, facevo la scuola d’arte, mi piacevano molto i fumetti e li disegnavo anche. Poi da un giorno all’altro ho raccolto dei spray che avevo in garage per verniciare le biciclette, ho chiamato Joe (al tempo taggava Jam) e siamo andati a fare dei graffiti lungo il Tevere. Lì avevamo visto i pezzi dipinti da Crash Kid, Clown, Mako, Io-Ice e sono stati il nostro punto di partenza. Avevamo capito che lo spray era il mezzo e così abbiamo iniziato.

A G a Pane: Quando nasce il vostro primo gruppo importante gli ETC?

Pane: Alla fine del ‘92, quando io e Joe siamo stati contattati da un centro sociale (Corto Circuito) per realizzare delle murate nei quartieri periferici. In quell’occasione abbiamo contattato diversi writers che dipingevano allora, attraverso un manifesto che avevamo affisso in un ferramenta che vendeva le Duplicolor, chiedendo a chi era interessato di lasciare il numero di telefono. Abbiamo chiamato un po’ di gente e da quel gruppo sono venuti fuori gli ETC. Inizialmente eravamo io, Joe, Hestro, e Koma, successivamente sono entrati nel gruppo Aser e China.

Stand: Ho cominciato ad interessarmi ai graffiti intorno alla fine degli anni ’80, anche attraverso alcuni video come "Beat This" di Bomb the Bass", "Hey You the Rock Steady Crew" dei Rock Steady Crew, perché contenevano immagini di graffiti. In quel periodo ero ben disposto nei confronti dell’Hip Hop che era una realtà di nicchia. Nel ‘88 ho conosciuto Federico (Dj Stile), in un negozio di dischi (Goody Music) perché i Rud Dmc sarebbero passati a firmare autografi. In quel periodo non era molta la gente interessata ed insieme a Federico cercavamo informazioni, materiali e persone che condividessero le nostre passioni per il rap, il djing, i graffiti etc. La prima generazione che all’inizio degli anni ’80 a Roma era legata al rap o alla breakdance non era molto attiva, ed erano soprattutto poco numerosi. A Roma tra l’89 e il ‘90 non c’erano treni dipinti, più che altro graffiti sui muri e la gente che dipingeva era poca: da una parte quelli più vicini ai centri sociali come le 00199 e poi i graffitisti di allora tra cui Crash Kid, Io-Ice, Fab, Clown, Maelo e pochi altri.

A G a Stand: Quando nasce il tuo primo gruppo importante, gli MT2?

Stand: Gli MT2 nascono alla fine del ’92, il nome per esteso More Touch Two (da leggere anche alla romana!) nasce da una serata alcolica con Clown nella quale erano venuti fuori nomi allucinanti. La formazione iniziale era composta da me (all’epoca Cromo), da Clown, Deb One, Crash Kid e Kraze (di Amsterdam).

A G: Insieme avete fatto uno dei primi treni dipinti a Roma.

Stand: Sì, il terzo proprio come MT2, ma il primo treno a Roma è stato fatto il 19 settembre del ’92, da un gruppo misto di amici e persone della scena dei graffiti di quel periodo. Io, Crash Kid, Clown, Giaime, Cool Art, Damage (di Ancona), Dj Baro, Soho, e Rude Mc.

Scarful: Una dei primi ricordi che ho dei graffiti risale all’85 circa, perché c’era un ragazzo di Ostia che aveva una radio indipendente che si chiamava "Hello Johnny", e girava sempre con una macchina station wagon anni ’60 completamente ricoperta di scritte graffitare. Poi verso la fine degli anni ’80 sono stato a Montreal e lì ho iniziato a vedere dal vero tantissimi graffiti e stancil per la città. Rimasi molto colpito da un gruppo i DBC (Dead Brain Cells) che erano legati alla scena hardcore punk. In quel periodo ascoltavo molto questo genere di musica e quindi ero visivamente attratto da tutto ciò che riproduceva questo tipo di iconografia.

Nico: I miei esordi nel 1991 sono legati alla zona del Ponte delle Valli, dove facevo degli "esperimenti" con gli spray per vedere cosa si poteva fare con quel mezzo. Tutte informazioni di cui ho fatto tesoro, ma delle quali non ho conservato tracce o foto. L’esordio più consistente con i graffiti e stato però con gli ETC nel ’94-’95. Nel ’92 insieme a Joe, Pane, Koma e Sugo abbiamo aderito ad un gruppo, i BK 38, coordinato da alcuni membri di un centro sociale che avevano l’intenzione di diffondere le proprie idee politiche attraverso i graffiti. Facevamo delle murate collettive in 15 persone, chiedendo anche l’autorizzazione alle circoscrizioni. Un progetto che però è decaduto presto perché non c’erano delle motivazioni forti. Ci siamo divisi e loro (Joe, Pane, Sugo, Koma) hanno continuato da soli passando però ai graffiti veri e propri. Questo anche perché inizialmente avevamo due concetti diversi, loro con un paio di spray andavano subito ad un deposito della metro a fare un pezzo, io invece ne accumulavo 20 per fare un bel muro. La storia ha voluto che il loro metodo fosse quello più efficace, usavano pochi spray e avevano tantissimi pezzi in giro.

A G a Nico: Quando hai ricominciato a dipingere con gli altri?

Nico: A un certo punto mi sono reso conto che era sbagliato che la mia "politica" consistesse nel fare i murales o i graffiti con messaggi politici. La mia sedicenne volontà era quella di cambiare le cose, e avevo capito che non le cambiavo scrivendo "Autogestione". Per questo mi sono allontanato dall’ambiente dei centri sociali ed ho iniziato a dipingere il mio nome. L’individualismo che ho espresso nel fare i graffiti è stata una sorta di reazione ai metodi di questi ambienti, che non consideravo più validi perché abbastanza superficiali. E sono andato sull’altra sponda dei graffiti, più individualista e anche abbastanza vandalica. Nel ’94 circa mi sono riavvicinato a Joe, Pane e gli altri entrando negli ETC, perché in quel periodo stavo facendo pezzi simili ai loro.

A G: Ognuno di voi nel tempo ha sviluppato delle caratteristiche stilistiche ben precise nei graffiti. Quali sono gli elementi che vi hanno formato, le esperienze che vi hanno maggiormente influenzato?

Joe: Io a livello tecnico non sono mai stato bravissimo, però me la sono cavata lo stesso! Ci sono due persone che mi hanno fatto capire delle cose importanti, Fume (un graffitaro di Dusseldorf) e Giaime (un writer, scomparso, dei primi ‘90 a Roma). Fume mi ha fatto capire l’importanza di fare i graffiti grandi e di dipingere come meglio ti viene, senza stare a pensare che se ti piace un writer o se ti piacciono delle cose tu devi avere questo come punto di riferimento. Disegni quello che ti viene meglio e lo fai, ci metti un po’ di amore e le cose vengono bene lo stesso. Giaime invece diceva che la cosa più importante è la lettera, perché riesci a dare il massimo con il minimo; anche se non hai molti spray, solo con le lettere senza mettere figure o "barocchismi" riesci a comunicare immediatamente. Ho capito che dovevo considerarle come un elemento figurativo e lavorare su quelle, altrimenti sembra più un’arte astratta; le lettere come forme e linee che si fondono in modo dinamico.

Stand: I graffiti che mi hanno ispirato maggiormente sono stati quelli newyorkesi della prima metà degli anni ‘80, Dondi, Pure, Tat Crew. Avevano raggiunto un livello di perfezione ed eleganza sullo studio del lettering pazzesco. Sono stato ispirato anche da maestri olandesi come Shoe, Zedz, Delta, che dipingevano con una fantasia incredibile, e avevano reso lo stile olandese inconfondibile. Credo che Roma sia nata stilisticamente da queste due città.

Pane: Nella fase iniziale ho voluto assorbire ed afferrare i temi principali di una materia, in questo caso i graffiti. E’ stata una fase che ha richiesto tempo, ma nella quale ho sperimentato vari stili realizzando cose anche molto diverse fra loro, andando alla ricerca dello spirito giusto.

Nico: Il primo imput ai graffiti l’ho avuto sfogliando il bimestrale del Manifesto (’90), che conteneva uno speciale su Woodstock nel quale avevano inserito delle foto dei Navigli a Milano con graffiti fatti dai Punk che rappresentavano quel tipo di iconografia. Da lì in poi è cominciata la mia ricerca di foto di graffiti. Quelli che esprimevano più "soul", e che ho osservato con maggiore attenzione, sono stati quelli newyorkesi del primo periodo che avevo trovato sul libro Subway Art. Poi la maggiore influenza l’ho avuta dal confronto quotidiano con il resto dei TRV.

Stand: Noi siamo stati i primi a dipingere treni a Roma, siamo stati la prima linea, e abbiamo imparato molte cose dai writer stranieri che sono venuti a trovarci. Gente come Milk, Fume (Germania), Sento (NYC), Mellie, Delta e Set (Olanda) e tanti altri, tra il ‘93 e il ‘94 sono venuti a dipingere treni a Roma e ci hanno messo in condizione di confrontarci con una platea più importante, portando Roma ad una dimensione più internazionale. A quel punto sono venuti writer da ogni parte, addirittura dall’Australia, trasformando Roma nella "Capitale" dei graffiti. E questo perché i treni dipinti viaggiavano tutti e non venivano cancellati.

Pane: La storia dei graffiti a Roma è singolare. In Europa siamo stati tra gli ultimi a cui è arrivata questa ondata. Prima di noi ci sono stati i tedeschi, gli olandesi, i francesi…, e queste sono le prime cose che abbiamo visto direttamente. Con il tempo siamo andati a ricercare le origini e siamo arrivati là dove i graffiti erano iniziati, ovvero a New York. Attraverso questi abbiamo percepito meglio lo spirito, le motivazioni e tutta una serie di cose che ci ha coinvolto maggiormente. Da quel momento in poi (‘94 circa) abbiamo avuto il maggiore sviluppo stilistico.

A G: Quindi alcune influenze newyorkesi della prima scena, insieme all’arrivo di writers europei che hanno portato uno stimolo ed una competizione maggiore, hanno fatto sì che il vostro stile diventasse forte e riconoscibile. Ma un’altra caratteristica che vi ha dato una forte impronta è stato dipingere molto i treni e la metropolitana, attraverso la quale si sono formate le generazioni successive di writer.

Joe: Il nostro linguaggio è stato molto legato ai treni e alla metropolitana. In particolar modo nel periodo dei TRV, quando abbiamo cambiato anche il modo di fare graffiti. Io penso che dipingere una metro e la metro gira sia importante, perché diventa il principale punto di riferimento e confronto, ed anche perché vedi la stratificazione delle generazioni e le varie evoluzioni. Questo crea un rapporto diretto e più immediato con i graffiti. Io quando ho iniziato a dipingere, credevo che per andare a fare un treno bisognava essere un graffitaro bravo e quindi si doveva dipingere un po’ su muro; poi si poteva andare a fare i treni e le metro che erano invece qualcosa di speciale.

Stand: Noi veniamo da una generazione nella quale c’era un senso di scoperta e di avventura, in cui non dipingevi tanto ma dipingevi bene, perché i graffiti erano pochi e dovevi far vedere che tecnicamente riuscivi a creare prodotti molto validi. Le generazioni successive hanno iniziato a dipingere perché hanno visto i treni della loro città dipinti, e non hanno fatto riferimento a libri o fanzine come è capitato a noi. A loro è venuto più istintivo dipingere subito i treni, perché è quello con cui si sono formati a livello visivo. Probabilmente hanno prima iniziato a dipingere treni e poi a studiare i graffiti. Hanno voluto confrontarsi con chi aveva fatto qualcosa di grandioso nella loro città, mentre noi non abbiamo avuto questa fortuna, perché non c’erano state persone che avevano dipinto con la nostra mentalità e determinazione. Sicuramente Joe, Pane e Nico sono quelli che hanno influenzato maggiormente la generazione successiva alla nostra. Tecnicamente validissimi, però verso la metà degli anni ’90 hanno sviluppato uno stile immediato e spontaneo, che ha trovato molti seguaci. Il mio stile invece era più difficile da emulare perché molto tecnico, passavo tantissimo tempo a disegnare outline prima di fare un graffito.

Pane: In Europa abbiamo avuto una grossa notorietà perché dipingevamo tantissimo la metropolitana, e per molti anni e tuttora continuano a girare i vagoni dipinti. Questo ci ha dato una specie di "audience" molto forte, richiamando a Roma tantissimi writers esteri. Il nostro stile si è evoluto proprio grazie alla metro, perché se non la dipingi il tuo stile non diventerà mai aggressivo, la tua istintività e velocità devono venire fuori, e questo attribuisce al graffito delle caratteristiche di dinamicità uniche. Sul muro invece è diverso perché hai tutto il tempo per pensare.

A G a Pane: Quando nasce il vostro gruppo definitivo, i TRV.

Pane: I TRV (The Riot Vandals) nascono come evoluzione degli ETC, successivamente intorno al ‘95 sono entrati a far parte del gruppo alcuni membri degli MT2, Stand, Kraze e Deb, ed altri writer come Tuff.

A G: Quindi avete sviluppato un modo diverso di dipingere, molto più funzionale alle esigenze di writer che avete in quel momento e con delle caratteristiche ben riconoscibili.

Pane: A un certo punto abbiamo iniziato ad usare i tappi normali, e non avevamo delle marche di spray fatte appositamente per i graffitari come succedeva in Germania o in altre parti d’Europa. Noi abbiamo utilizzato gli strumenti base, quelli che vendevano dal ferramenta con una decina di colori a disposizione Ma questo non ci ha penalizzato, anzi ha tirato fuori uno stile particolare e delle caratteristiche che poi sono diventate distinguibili.

Joe: Io mi sento un po’ il padre del dipingere nella maniera più sincera possibile, di fare il "wild style" non come cliché di lettere, ma di fare il graffito selvaggio, selvaggiamente come tu sei. Da un certo punto in poi non ho più usato tappi particolari e dipingevo con spray di qualunque tipo. Questa scelta ha dato buoni frutti perché in fin dei conti a New York dove sono nati erano stati fatti in quel modo. Quindi non è una questione di uno stile conservatore, ma se stai facendo i graffiti, e i graffiti sono quella cosa, tanto vale farla più simile a quella.

A G: I graffiti insieme a tutte le esperienze formative di background sono la base della vostra espressione artistica attuale. Nel caso di Scarful ovviamente non nel senso stretto di graffito, ma includendo anche tutti quegli elementi come lo stancil e gli adesivi che fanno parte di questa realtà. Volendo dare una specie di "definizione", che cosa rappresentano e hanno rappresentato per voi?

Joe: Secondo me i graffiti sono il linguaggio più nuovo che c’è stato negli ultimi 20 anni e il più popolare; ...magari ora c’è internet, ma è diverso, per usarlo ti serve il computer e una preparazione. I graffiti sono legati al bombardamento delle immagini delle grandi città, e di riflesso anche tu bombardi gli altri di una tua immagine, di una tua icona. Fanno parte della società contemporanea.

Stand: Il graffito è una forma di guerriglia urbana semiotica. Non ha bisogno di un messaggio perché ha già tanto di sé come significato nelle modalità con le quali viene realizzato. L’illegalità, la polizia, i treni, gli spazi in cui è limitato etc. E’ più un messaggio di individualità, di presenza, un "egotrip" del writer stesso!

Pane: Uno degli aspetti più interessanti dei graffiti è che non sono solo una forma espressiva o poetica, mi piace il loro senso di "veridicità", le loro basi pratiche delle motivazioni sociali o politiche. Però quando io parlo di politica non parlo di concetti o idee legate a un partito o a un ideale. Questa è una considerazione a posteriori, all’epoca li facevo senza dei presupposti o un ideale. Naturalmente stavo facendo politica senza saperlo, perché nel momento in cui agisci su dei luoghi pubblici in maniera così forte ed evidente, stai avendo un’influenza sulla società stai agendo in maniera diretta. Questa è una presa di coscienza che sto maturando oggi, allora non erano pensieri che facevo ma piuttosto erano "cose" che facevo.

Scarful: Tutta l’arte di strada è spesso, quella più sincera, più diretta. Quando esci per strada a fare gli stancil devi essere veloce, rapido. Ci sono sempre delle incognite, a meno che tu non lo faccia in un posto tranquillo. Questo dà a quello che fai delle caratteristiche espressive forti. Lo stancil, gli adesivi, i graffiti, il tag, sono un modo di presentarsi agli occhi di tutti attraverso la strada, nei posti che giri ogni giorno. Chiunque può vederli perché non sono legati ad un luogo dedicato. Sono un modo per essere sempre presenti nella città.

A G a Scarful: Quale è il rapporto che lega i Scarful ai TRV?

Scarful: Ho conosciuto i TRV 6 anni fa, già da prima vedevo le loro "scritte" per strada, Pane, Joe, Sugo ... Quello che mi colpiva di più era Tuff, onnipresente. Comunque il primo che ho conosciuto direttamente è stato Pane con il quale nel ‘96 abbiamo creato insieme ad altri amici "Hateful Grafic Vandals", uno studio grafico, ed è nata anche la prima fanzine di graffiti "Hateful". Da li ho iniziato poi a conoscere gli altri.

A G: Tu non hai mai avuto un rapporto con i graffiti in senso stretto?

Scarful: No, non ho mai avuto un rapporto diretto. Le uniche cose che facevo legate ai graffiti, intorno ai 16 anni quando ero metallaro, erano delle scritte HMK (Heavy Metal Kids), una sigla generica di tutta la gente appassionata di questo genere, o successivamente RMHC (Roma Hardcore).

A G: Una specie di tag?

Scarful: Si, tipo tag, Passavo molto tempo a studiare le lettere, a disegnarle anche perché molti dei gruppi che ascoltavo avevano delle scritte grafiche incredibili. Forse è questo l’elemento che mi lega a loro, il lettering e la calligrafia, una cosa che ho continuato a portare avanti in particolar modo con Pane, perché entrambi ci occupiamo anche di grafica.

A G: Quando hai iniziato ad utilizzare gli stancil e gli adesivi?

Scarful: Circa un anno fa. Mi ricordo che Pane aveva disegnato i suoi primi cappelli con la P, e mi era piaciuta molto come idea. Da lì ho cominciato a sviluppare i miei stancil e adesivi: il cartone del latte con il serpente, la scritta Scarful e ora sto lavorando a una nuova, una mano che tiene un cartone del latte. Ognuno di questi elementi lo riproduco per strada e lo inserisco pittoricamente all’interno dei quadri che sto facendo.

Nico: I graffiti entrano nella società in maniera dirompente, facendo scaturire delle reazioni nei concittadini, ma non rivendicano niente. Sono il prodotto dell’"esagitazione" dei giovani. Oggi mi rendo conto che per me sono stati anche una palestra di pittura con cui accostarsi ad altre cose, e mi hanno permesso di sperimentare scelte stilistiche da cui passare ad altre forme espressive. Mi è sempre piaciuto dipingere e nella parte più "esagitata" della mia vita ho fatto i graffiti. Adesso sono in una fase diversa, nella quale lavoro, faccio altre cose, e dipingo in relazione a questo nuovo contesto. Da poco ho iniziato ad utilizzare gli stencil, che hanno in comune con i graffiti di essere fatti per strada, illegalmente, e mi stanno facendo rivivere delle emozioni degli esordi nel ‘91-’92!

A G a Nico: Alcuni di voi sembra quasi che abbiano trasformato il tag in stancil, ad esempio Pane il cappello con P e Joe le corna. Nel tuo caso ci sono due elementi particolari.

Nico: Una è la botola ed è quella tipica di New York per scendere nella metropolitana. Ho utilizzato come base una foto scattata appunto a New York sulla 5 th avenue, nel centro di Manhattan, dove stranamente era aperta in mezzo ad un marciapiedone, e dentro si vedevano dei tag vecchissimi. L’altra è la mascherina (Absolute Incognito!!), ed è legata al film/documentario che abbiamo fatto sui graffiti "Un gioco da ragazzi", dove avevamo travestito tutti i writer intervistati con queste maschere. Quest’immagine mi ha colpito molto e rappresenta anche l’anonimato in cui molti writer cercano di non farsi vedere "personalmente", mentre invece dall’altra parte hanno l’esigenza di farsi conoscere.

A G: Nel panorama nazionale ed internazionale del mondo dell’arte ci sono diversi artisti che hanno sviluppato il proprio lavoro, anche se con tecniche e modalità diverse, partendo da una base analoga alla vostra. Ma l’esperienza dei graffiti è anche entrata in maniera più forte nel mondo della comunicazione visiva. Quali sono le vostre impressioni?

Joe: Molte persone che fanno arte delle ultime due generazioni, magari di circuiti più alternativi, quasi tutti hanno fatto graffiti, chi in maniera più praticante chi meno. Io quando avevo 16-17 anni ho iniziato a fare graffiti perché c’erano i graffiti, e allora ho fatto questo. Se fossi nato 20 anni prima magari avrei iniziato direttamente a dipingere, e invece di fare i metallari nei quadri avrei fatto i jazzisti perché ascoltavo jazz.

Stand: I graffiti sono stati il prodotto più genuino e più divertente, artisticamente parlando, degli ultimi 20 anni. La cosa grandiosa è stata che hanno dipinto anche persone che non sapevano disegnare, dando una spontaneità a tantissimi prodotti fatti successivamente dai writer. Oltre all’interesse del mondo dell’arte ci sono tantissimi grandi marchi, ad esempio quelli di abbigliamento e non solo quelli più legati allo street wear, che fanno disegnare e progettare le proprie campagne pubblicitarie ai writer. Molti di questi, anche attraverso l’uso del computer, disegnano vestiti, font, mobili, siti web… Penso ad esempio a Shoe, Mode 2, Delta, Zedz etc. Il writer riesce ad interfacciarsi con gli altri media in una maniera molto più libera, ad acquisire un knowledge con più disinvoltura rispetto a chi ha una preparazione accademica. Riesce a percepire e a confrontarsi con la città meglio di chiunque altro.

A G: Negli ultimi anni è tornato un nuovo interesse del mondo dell’arte nei confronti dei graffiti. Questa esperienza era stata già vissuta da molti writer negli anni ’80, ma in maniera differente. Il tentativo di allora fu quello di portare il graffito vero e proprio in galleria, mentre in quello attuale è di portare il linguaggio dei graffiti all’interno di un nuova ricerca espressiva.

Joe: Secondo me negli anni ’80 il tentativo di portare i graffiti in galleria non funzionò molto. E non parlo di Basquiat o Keith Haring, che non erano dei veri graffitari ma piuttosto dei pittori che avevano qualche elemento in comune e vivevano nella stessa città. Penso invece a Rammellzee, Crash, Coco 144 e altri ancora, che provarono a portare il graffito vero e proprio in galleria. I writer della nuova generazione stanno entrando nuovamente nel mondo dell’arte ma in una maniera più consapevole, non portando semplicemente i graffiti, ma portando se stessi con il background di quello che hanno fatto prima. Se riproducono la strada è semplicemente perché sono le cose che gli appartengono, e non credo che potrebbero immaginarne altre.

Stand: All’inizio degli anni ’80 le gallerie presentarono i writer al grande pubblico. Artisti come Keith Haring, Basquiat, Kenny Sharf, e maestri della subway come Crash, Daze, Phase 2, Dondi e Futura 2000 furono confusi insieme sotto il nome di "Graffiti Art". Ad esempio Keith Haring era forse quello un po’ più vicino al mondo dei graffiti perché dipingeva con delle modalità affini, come la scelta del luogo e la visibilità dell’opera nel posto più affollato della città, la subway. Per questo è stato erroneamente considerato un writer. Lui non scriveva Keith Haring sui treni o sui muri della propria città, mentre è l’aspetto fondamentale del writing. Una delle componenti essenziali del suo lavoro era il messaggio sociale che la gente doveva recepire e interpretare. Al writer interessa relativamente come la gente interpreta la sua opera. Soprattutto alcuni writer non sono artisti, ma sono dei semplici "vandali"!

Pane: Io mi sento più vicino a questa nuova trasformazione all’interno dell’arte che molti altri writer stanno facendo, nella quale più che portare il graffito stesso ne viene portato lo spirito. E’ un discorso più profondo, crei una nuova cosa e la adatti a dei nuovi spazi. Portandolo così com’è all’interno della galleria nascono invece delle contraddizioni, perché gli viene tolto un valore fondamentale che è quello del muro o del treno.

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